Quando Vladimir Jakovlevic Propp diede alle stampe Morfologia della fiaba probabilmente non si aspettava di aver pubblicato quello che sarebbe diventato uno dei più importanti studi del XX secolo, tanto da influenzare profondamente il futuro sviluppo del pensiero critico e filosofico, nonché di quello artistico, del mondo intero. Dalla letteratura al cinema, passando persino per l’informatica, egli fece da apripista alla formulazione di nuovi metodi d’indagine teorica i quali, applicati alle arti così come alla tecnica, si rivelarono assai fertili di nuove e inattese prospettive.
Siamo nel 1928 e la Russia post-rivoluzionaria, nonostante gli sconvolgimenti politici passati e presenti (sono gli anni dell’ascesa di Stalin al potere), vanta grandissime personalità nel mondo degli studi umanistici: Tynjanov, Tomaševskij, Bachtin, Šklovskij, nonché i membri del già costituitosi Circolo Linguistico di Praga, tra cui Jakobson, Trubeckoj, Mukařovský. Nomi che hanno contribuito e contribuiranno, negli anni a venire, allo studio del linguaggio e delle sue strutture di funzionamento (Jakobson, forse il più famoso tra loro, sarà il primo a definire le nozioni di “mittente”, “destinatario”, “contesto”, “codice”, “messaggio”, “canale”, e formulerà un noto schema a descrivere i processi comunicativi in genere), ma anche del mondo della letteratura e della critica letteraria. Le premesse da cui questi intellettuali prendono le mosse sono più o meno condivise, tanto che i protagonisti del dibattito che va dagli anni ’10 agli anni ’30 sono indicati oggi con un nome collettivo: i formalisti russi. Essi si propongono di avvicinarsi all’oggetto del loro studio (sia essa la prosa, la poesia, il sistema del linguaggio, ecc.) tentando di scinderne forma e contenuto, concentrandosi sull’analisi dei meccanismi di configurazione della prima e tralasciando, di tendenza, il secondo. L’obiettivo è quello di non occuparsi degli elementi variabili del discorso, legati alla contingenza specifica dell’oggetto in esame e che l’autore (o, in generale, il soggetto) di volta in volta utilizza per i suoi fini espressivi; bensì di individuare le leggi formali invariabili all’interno delle quali il contenuto si esprime.
Un esempio per essere chiari: nell’analisi di una frase, poniamo “il cane mangia”, abbiamo un soggetto (“il cane”) e un verbo (“mangia”). Se prendiamo un’altra frase, poniamo “Giuseppe beve”, e la confrontiamo alla prima, va da sé che il significato è completamente diverso; ma dal momento che sono presenti le stesse strutture formali invarianti (soggetto+verbo), l’analisi formalista le tratta entrambe come se fossero la stessa frase, poiché esse sono formalmente indifferenti nel momento in cui si prescinda dal contenuto specifico di ognuna. Presa poi la struttura invariante “soggetto+verbo”, io posso potenzialmente costruire un numero infinito di frasi: mi sarà sufficiente rispettare ogni volta le condizioni che la struttura mi impone per creare, in linea di principio, infiniti differenti significati. Ovviamente, per motivi di occasione non è il caso di avventurarsi nell’enorme complessità degli studi compiuti dalla scuola formalista russa, e perciò basti la semplificazione che abbiamo offerto per indicarne la direzione. Un accenno era però necessario per poter parlare di Propp e del suo Morfologia della fiaba, che perfettamente si inserisce in questo orizzonte intellettuale rappresentandone una delle espressioni più alte.
A dire la verità, Propp appare leggermente decentrato rispetto al resto del mondo culturale russo. Pur avendo conosciuto molti dei futuri formalisti russi durante il suo periodo universitario a San Pietroburgo, nel 1928 insegna lingua e letteratura tedesca nelle scuole. Entrerà nel mondo dell’insegnamento universitario soltanto nel 1932 come docente di lingua tedesca; intanto, prosegue privatamente i suoi studi sul folclore popolare, sulle fiabe e sulle favole russe, di cui è profondamente appassionato. È senz’altro aggiornato sugli ultimi sviluppi del Circolo Linguistico di Praga e ne condivide l’impostazione formalista che, in quegli anni, rappresenta uno degli avamposti del pensiero critico europeo. Pensa perciò di applicare questa impostazione metodologica allo studio delle fiabe in maniera del tutto indipendente, coniugando un interesse personale e una conoscenza tecnica acquisita con lo studio. Ciò che ne viene fuori è uno dei libri più importanti della critica letteraria del Novecento.
L’idea a monte di Morfologia della fiaba è, per stessa dichiarazione dell’autore, il tentativo di formulare un sistema scientifico e univoco di catalogazione del grande corpus di fiabe raccolto nel tempo dagli etnografi della cultura popolare russa. L’importanza di un tale obiettivo può oggi sembrarci scarsa, ma bisogna pensare che siamo nel 1928, e che il corpus di cui parliamo è dell’ordine di migliaia di fiabe: per un etnologo che avesse voluto studiarle si trattava quindi di una necessità imprescindibile. Le varie catalogazioni allora in voga (le descrive Propp nei primi capitoli del libro) presentavano criteri di suddivisione molto soggettivi: ad esempio una fiaba che presentasse animali parlanti era una “fiaba di animali” e una che presentasse elementi magici una “fiaba di magia”; una fiaba che presentasse però gli uni e gli altri era categorizzata talvolta nell’uno, talvolta nell’altro gruppo, in base all’opinione personale del catalogatore. Propp si propone quindi di risolvere il problema notando come ogni sistema di suddivisione fondato sulle differenze di contenuto della fiaba è destinato a essere sempre imperfetto, in quanto fondato su di una componente infinitamente variabile. È necessario invece individuare le invarianze formali. Sulla base della loro combinazione nello strutturarsi complessivo della singola fiaba, si potranno comparare più fiabe e trovare tra di esse elementi compositivi oggettivamente comuni, e stabilire delle categorie d’appartenenza. Decide allora di prendere in esame cento fiabe appartenenti alla classe “di magia” per comprovare la sua tesi.
Il suo primo passo è quello di definire il concetto di “funzione”. Una funzione è «l’operato d’un personaggio determinato dal punto di vista del suo significato per lo svolgimento della vicenda», cioè a dire: prescindendo dalle caratteristiche specifiche di chi compie l’azione (sia esso il principe, il drago, una strega, ecc.) e dal contenuto dell’azione stessa (mangia, beve, viaggia, ecc.), è possibile definire quell’azione rispettivamente, appunto, alla funzione che assolve ai fini della narrazione della fiaba. Ad esempio: se l’antagonista rapisce la principessa, non ci interessa chi (“il drago rapisce la principessa”; “il malvagio consigliere del re Ivan rapisce la principessa Tatiana”; ecc.), né come fa (la sorprende in casa; le tende una trappola; la neutralizza con un oggetto magico; ecc.); ciò che interessa è il fatto che, rispetto alla narrazione, sia avvenuto un passaggio essenziale affinché essa possa proseguire. Propp, tramite l’interpolazione di varie fiabe, definisce allora questo passaggio come “funzione danneggiamento”, nel quale “l’antagonista arreca danno o menomazione a uno dei membri della famiglia” e le attribuisce un simbolo (in questo caso, “X”); e così via per il resto della sua analisi. Ciò su cui è necessario fare attenzione è che azioni identiche possono avere funzioni diverse e che azioni diverse possono avere funzioni identiche: ad esempio se l’eroe salta da terra con il suo cavallo fino in cima a una torre per baciare la principessa, può compiere tale azione per superare una prova al fine di ottenerne la mano.
In tal caso essa esperirà la funzione “superamento della prova”; ma se l’eroe compie la stessa azione alla fine della fiaba, quando la narrazione si sta concludendo, ecco che la funzione esperita non è più la stessa. Qui si tratterà, semmai, di un tratto esornativo, puramente descrittivo, visto che esso non ha alcun ruolo nello svolgimento della narrazione. Allo stesso tempo, inversamente, una stessa funzione può essere assolta da azioni differenti: la funzione “superamento della prova” potrà consistere allora in una gara, in una prova di forza, così come in qualsiasi altra azione che sul piano narrativo assolva a tale necessità. Ciò che conta è che, alla fine, sia stato effettuato appunto il “superamento di una prova”, quale che essa sia, nei modi più vari.
La definizione del concetto di “funzione” è senz’altro il colpo di genio più grande di Propp. Durante il corso della sua trattazione egli individua trentuno funzioni in totale che, limitatamente al caso delle fiabe di magia (è molto accorto a specificarlo), si ripetono sistematicamente in tutto il corpus analizzato, con pochissime variazioni. Inoltre, con considerazioni analoghe, riduce il numero di personaggi delle fiabe di magia a sole sette figure: antagonista, donatore, aiutante magico, mandante, eroe, falso eroe e figlia del re. Queste conclusioni, accompagnate da molte altre di carattere più specifico, portano lo studioso russo a una formulazione senz’altro ardita: che «tutte le favole di magia hanno struttura monotipica», cioè che, a livello formale, esse sono del tutto assimilabili. Le funzioni si succedono sempre in un ordine prestabilito; laddove alcune funzioni mancassero, l’ordine non viene mai turbato, e nei casi in cui si presentano occupano sempre la stessa posizione.
Ora, Morfologia della fiaba non aveva, nelle intenzioni del suo autore, pretesa di essere un sistema applicabile a ogni narrazione possibile. Al di fuori del suo caso specifico, Propp sosteneva che fosse necessario adattare di volta in volta lo strumento che aveva ideato, e che bisognasse stare in guardia dall’entusiasmo facile: identificare una funzione non è sempre semplice né univoco. Una singola azione, peraltro, può assolvere a più funzioni, e nota questo già nelle fiabe che analizza. Ovviamente le funzioni che aveva identificato potevano mancare in altri tipi di narrazione ed essere sostituite da altre del tutto nuove. Lo studio da farsi sarebbe stato molto complesso e andava al di là del suo lavoro.
Ad ogni modo, per diversi anni a venire il problema non si pose affatto: alla pubblicazione di Morfologia della fiaba non seguì grande interessamento da parte del pubblico intellettuale né russo, né europeo, né americano. Soltanto dopo la II Guerra Mondiale l’opera fu riscoperta da un crescente numero di studiosi e a mano a mano il metodo di Propp fu applicato per analizzare ogni tipo di narrazione. Esso si rivelò particolarmente adattabile a molteplici esigenze: fu addirittura utilizzato in informatica, dal momento che offre la possibilità di scomporre un discorso in uno schematismo logico assai funzionale in questo campo. Non va poi dimenticato che, oltre a essere uno strumento d’analisi, esso può essere anche utilizzato per generare nuove narrazioni: di questa possibilità, già prevista da Propp stesso, non soltanto si sono avvalsi grandi artisti del passato (sia in accordo che in polemica con una visione ontologicamente “meccanicistica” della letteratura e dell’arte), ma, ad esempio, ancora oggi Morfologia della fiaba rappresenta un fondamento ineludibile da parte degli autori di narrazioni di grande diffusione mediatica. Si pensi agli sceneggiatori di film, fiction o serie televisive, così come agli scrittori di consumo (romanzi rosa, gialli, ecc.): conoscere le regole della narrazione permette la produzione in serie di storie (ma anche la possibilità, per gli addetti al mestiere, di disattendere le aspettative, di modificare la struttura e di avvalersi dunque di nuove possibilità espressive). E con questo molto altro. Insomma, negli anni il valore di Morfologia della fiaba ha superato ampiamente i confini delle discipline umanistiche. Senz’altro Propp non si aspettava di aver scritto un libro per informatici, scrittori di massa o sceneggiatori cinematografici; ma a questo punto non si può certo dire, visti gli esiti, che «di cultura non si mangia».