Comiciamo qui a pubblicare il testo completo dell’opera Manfred, di Lord Byron, nell’edizione di Carmelo Bene, che adattò il dramma per un suo memorabile spettacolo alla Scala di Milano, accompagnato dalla musica di Schumann.
Per introdurre il testo riportiamo alcune righe di un pezzo (riferito ad una nuova traduzione dell’opera) che apparve una decina di anni fa sul Corriere della Sera. L’autore sembra aver compreso l’essenza manfrediana che trova la sua ragion d’essere e d’agire nelle dicotomie ragione/fede, desiderio/malinconia e amore/morte. Per questo, attualissimo.
Il Manfredi di Byron, genio condannato all’ infelicità
Chi si interessi alla voga del personaggio byroniano, che imperversò per buona parte dell’ 800 da un capo all’ altro del mondo, ne trova il prototipo in Manfred, «poema drammatico» composto all’ indomani della definitiva partenza da Londra, nelle Alpi Bernesi e poi a Roma, ispirato dai maestosi picchi alpini e da brucianti ricordi di vicende personali. Manfredi è l’ uomo superiore che va oltre la scienza, conosce cose e dottrine proibite, comanda agli elementi, evoca e domina le apparizioni di un aldilà tenebroso, potenze demoniache, Furie e Nemesi; chiara proiezione dell’ autore, roso dall’ insoddisfazione del sapere, dall’ ansia di esperienze trasgressive, isolato per il suo disprezzo dell’ umanità comune, che nel rapporto esaltato con la natura e negli amori impossibili trova il segno ed il sostegno della propria grandezza. E’ un personaggio che ha bisogno di isolamento, antagonismo per definirsi ed esistere, che può lottare solo con le forze gigantesche del creato e le angosce del proprio animo. Senza far patti col diavolo, il suo destino (e la sua condanna) è di non poter raggiungere l’ oblio e la morte, di non poter cancellare sofferenza e rimorso (per aver ucciso la sua amata), di ritrovarsi prigioniero della sua volontà di superamento. Condannato a vivere con i fantasmi di se stesso ed estraneo al mondo, Manfredi sfida il principe stesso del male, portandosi dietro e dentro una colpa oscura e lacerante…
In questo stralcio beniano, Manfred invoca l’amata Astarte, morta anni addietro per sua colpa, che gli si palesa in forma di spirito.