Dal numero 8 di Stilemaschile online (giugno 2012), il nostro manifesto contro la volgarità estiva che ci circonda ovunque, dal mare alla città, senza più alcuna differenza.
Siamo oramai entrati nella stagione più pericolosa dell’anno, per l’uomo che desidera essere elegante. Come resistere e offrire agli occhi inconsapevoli dei più un esempio concreto e virtuoso di stile maschile?
I tempi – complessi e certamente poco eccitanti – in cui è dato vivere pongono l’uomo al centro di numerose tensioni. Chi sia giunto alla maturità aspira ancora a consolidare le mete che faticosamente ha ottenuto; al contempo, rifugge decisamente l’assunzione di troppe responsabilità. Anela a una tranquillità economica che qualunque onesta professione concede sempre più tardi e, al tempo stesso, convive con un bruciante desiderio di libertà. Sempre più impegnativa e difficile diviene l’acquisizione di un ruolo pieno e convinto nelle principali dimensioni del suo vivere sociale. Il matrimonio e la famiglia, in particolare, non costituiscono più spartiacque tra l’età del disimpegno e quella cd. “della ragione”.
Nell’abbigliamento maschile si osservano tendenze opposte ed egualmente preoccupanti.
Da un lato, è crescente il numero di uomini di mezza età (e oltre) affetti da penose sindromi giovanilistiche che si traducono nel culto esasperato di taluni capi d’abbigliamento: i jeans o i pantaloni a vita bassa entro cui si costringono – evidenziandole ancor di più – pancette e altre inevitabili imperfezioni fisiche; gli indumenti comodi e informali che – traducendo incontenibili smanie di libertà – lasciano spesso intravedere vaste aree di epidermide pelosa e informe; i capi cd. “tecnici” che, dovunque e comunque, richiamano il senso di eroiche avventure, vittorie sportive o imprese estreme (ovviamente solo immaginate, nel comodo tepore dei tinelli, sotto l’ipnotico effetto di giganteschi schermi al plasma). A tali atteggiamenti si affianca il rifiuto di accessori più impegnativi e simbolicamente più rappresentativi della maturità, quali il cappello, la cravatta, il cappotto.
Dall’altro lato, sono sempre più numerosi anche i nuovi (e falsi) dandies che, in nome di improbabili pretese di originalità, si dedicano con disinvolto e cinico accanimento alla rivisitazione dell’abbigliamento classico (molto spesso si tratta di veri e propri saccheggi), alla estremizzazione degli stili, delle dimensioni, delle forme e dei colori, al sistematico disconoscimento dell’etimologia e della storia dei capi che indossano.