René Guénon è il maestro indiscusso del “tradizionalismo integrale”, ossia di quella corrente di pensiero che per tutto il secolo XX ha criticato radicalmente la modernità. Nel 1927 uscì in Francia un suo libro intitolato “La crisi del mondo moderno”, in cui i principali aspetti della crisi inevitabile e profonda del “nostro” mondo vengono analizzati con una intensità tale da farsi evento. Il libro dell’esoterista di Blois uscì in Italia in prima edizione nel 1937 grazie all’interesse e alla traduzione di Julius Evola ─ esponente di una linea di pensiero parallela a quella del francese ─ che corrisponderà alle intenzioni di Guénon inverando la Crisi nella sua opera “Rivolta contro il mondo moderno”. Nello scritto che segue Alessio De Giglio segnala al lettore l’ultima edizione italiana del capolavoro guénoniano, la quarta, che non a caso esce nell’estrema crisi dell’economia e della rappresentanza politica liberale. Viene infine indicata la prossimità tra “contemplazione” e “azione”, le due vie tradizionali che s’incontrano nella regalità del “rosso”, ormai abbandonato al suo destino di sangue e miseria spirituale.
La Crisi e la Rivolta. Visione e Reazione di una modernità sconvolta.
Una invasione di significanti e non si sa, se l’altro è lo stesso o se è la stessa identità a fare la differenza. Sia pure, Evola&Guénon, marchio registrato e vincente, qui nella sintesi massima della sua operatività. Che importa, se quel che importa è che qualcuno si svegli, che apra gli occhi, che s’offra il senso della Crisi ─ che de-cida, finalmente.
Non amo Guénon ma la Crisi mi riguarda, perché mi si accese tra le mani nella notte, la mia. E niente è più stato lo stesso. Perché era necessario che qualcuno mi scrivesse, come scriveva Guénon, col suo stile da “geometra”, pulito, mentre tutto intorno lampeggiavano significati e la realtà non era reale, la materia si faceva numero, il sentimento stupido come la violenza. Era necessario, che qualcuno facesse l’autopsia a questo cadavere di mondo per credere ancora nella vita, per tras-ferire esistenze nel luogo dell’origine, dove avrebbero potuto ricordarsi. Era necessario, ridere di questo mondo male-detto e peggio vissuto. Perché c’era stata e sarebbe ritornata ─ l’età dell’oro. Così, come si cambia stagione.
E non è questione di acquisti (materiali) o acquisizioni (spirituali) in questa nuova, meritoria senz’altro, edizione. Qui (sto indicando il mondo) si tratta di stile, “catastrofe” ─ visione. Se ci sono libri che, mistero d’ogni risonanza, possono cambiare la vita il lettore è avvertito. E penso ai nuovi chiamati, che spero giovanissimi, capaci di “sentire” anche senza (soprattutto senza) capire perché importa solo il fuoco, altissimo. Il resto è “libro”, con le sue pagine e le nostre amnesie confinate in più o meno anguste biblioteche, dove riposa ─ eterna-mente ─ quel che non saremo mai. Infermità di soli occhi, costretti al “letto”.
Non stupisce che Evola si sia prodigato per la diffusione di quest’opera, da mettere in forma con una traduzione che non ne “tradisse” l’origine, fino a farne quasi un suo libro. Quale miglior viatico infatti, nella “provincia” Italia, alla rivoluzione, che prima d’esser fascista (la prima edizione italiana è del ’37) doveva essere interiore, interiorizzata: compresa in quei principi che reggono il mondo. Ed è davvero notevole trovare finalmente risposta a quei “dubbi” che investivano l’editing (parola che avrebbe fatto infuriare il Barone) di Evola nel saggio giustiziere di Andrea Scarabelli, tra le ricche appendici critiche di questa rinnovata Crisi. Dubbi sollevati da una ermeneutica tutt’altro che innocente e interessata che non smette, nonostante le continue evidenze, di spacciare leggende. Come quella secondo cui Evola avrebbe forzato a proprio vantaggio il testo guénoniano.
Il critico, diceva Léon Bloy, è «colui che ostinatamente cerca un letto in un domicilio altrui». Il lettore non si aspetti dunque una critica della crisi. Ma poche, personalissime, note per dire che la “tradizione” evoliana (la “consegna” della Crisi alla nostra lingua) si realizzò in integrazioni stilistiche e periodi esplicativi in tutto consonanti con la sostanza dell’opera guénoniana. Opera che Evola sentì di dover omaggiare e farne quasi verità propedeutica alla Sua, come nel miglior rapporto di causa ed effetto: dalla crisi alla rivolta, dalla diagnosi alla terapia. Ma la crisi stessa, così “nominata” (Heidegger), è già chiamata all’origine, sin dall’etimo “scelta” di campo, determinazione. E fra i libri dello studioso francese certamente riluce come quello più operativo, che muove incontro alla vera realtà rimuovendo gli oblii e le menzogne del secolo. Come una guida che ci mostra in questo nostro viaggio tutto terreno le stazioni di un continuo delirio che chiamiamo storia-scienza-democrazia… fino allo straziante congedo di una verità che vince, tutto quello che ci ha perso in questa età oscura.
E allora siamo al punto, prima che qualche idiota ci accusi di “far poesia”. Perché solo nella poesia (poiein, atto terribilmente “concreto”) è possibile la grande sintesi di azione e contemplazione. Intimità di cielo e terra che si incontrano in un punto di persuasione oltre l’orizzonte (circolo), quando nel tramonto sembra che persino il mare possa prendere fuoco e farsi “rosso”.
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