Inauguriamo, con questo articolo dedicato a Poe, un viaggio personale tra libri, cinema e whisky, condotto dall'amico Pino Perrone, noto esperto di distillati (vedi alla voce Whisky & Co, oppure Whisky Festival di Roma) e appassionato bibliofilo. Pino ci accompagnerà tra le sue passioni, che sono anche le nostre. Buona lettura. (Alfredo de Giglio)
QUOTH THE RAVEN “NEVERMORE”
Amo i libri, e nel corso della mia vita ne ho acquistati tanti, tantissimi. A me sembrano comunque pochi e certamente sarebbero un numero ben maggiore se avessi ulteriore spazio dove tenerli. Un giorno ho provato a contarli ma un a certo punto ho desistito. Innanzitutto perché mentre lo facevo mi è sembrato irrispettoso ridurli a una mera cifra, poi perché non si trovano tutti nel medesimo luogo. Tuttavia quelli a cui tengo sono qui con me, a mia totale disposizione e non li lascio da soli. Sarebbe erroneo, ingiusto e mentirei se affermarsi che sono legato a tutti quanti indistintamente. Di alcuni ben poco m’importa. Ciò malgrado non riesco a disfarmene. Coloro che vedono cotanto accumulo di pagine e pagine, frequentemente mi domandano se li ho letti tutti. Naturalmente no, è lapalissiano. Chi è solito a comprarne tanti, ne acquista sempre più di quanti sia in grado di leggerne. E’ una consuetudine conosciuta a noi appassionati della carta stampata. Io aggravio la situazione essendo anche un collezionista. E proprio uno appartenente a una mia collezione, si situa ai primi posti in una ipotetica lista di quelli a cui sono maggiormente legato e affezionato. Riguarda la raccolta che mi segue durante l’esistenza, dedicata alle edizioni provenienti dall’intero pianeta, tradotte in molteplici lingue, delle opere di un noto autore americano: Edgar Allan Poe.
Iniziai la collezione a quattordici anni. La motivazione fu piuttosto curiosa, ma è necessaria averne una logica? Dal momento che ero attratto dalla forma dell’oggetto libro sopratutto se corredato da illustrazioni, i pomeriggi non li passavo in oratorio a giocare a pallone con altri miei simili, ma all’interno di una libreria dell’usato vicino casa a rovistare assieme a persone adulte fra gli scaffali e pile di libri posati in terra. È stato qui che comprai le mie prime edizioni dell’americano e cominciai a leggerle. In breve tempo amai lo scrittore come nessun’altro, non che abbia poi smesso, solo che al tempo ero giovane e credevo che meglio di lui non ci poteva esserci. Erano racconti misteriosi, con finali a sorpresa, spesso incredibili e che non mancavano di un adeguato umorismo. Il gotico si sposa bene con l’adolescenza e in breve il legame divenne indissolubile. Quando fui in possesso di una decina di tomi differenti, provenienti da svariate case editrici, mi mancava ben poco da leggere del romanziere per completare la sua produzione letteraria talmente nota. Erano libri singoli, le opere complete od omnia non mi sono mai piaciute. Pertanto a quel punto mi chiesi, perché non continuare e trasformare una passione letteraria anche in una collezione? E così feci. Cominciai a comperare ogni edizione mi capitasse fra le mani, purché cambiasse di copertina, come fossero dei francobolli ma per me decisamente più interessanti. Naturalmente rispettando le mie limitate risorse economiche. Questi volumi al momento sono oltre settecento, e se per tre lustri non ne avessi interrotto l’acquisto per dedicarmi maggiormente a metter su famiglia, probabilmente ora avrebbero superato il migliaio. Un gran pezzo della mia storia è legata alla ricerca di questi volumi e alcuni momenti vissuti nel scovarli sono rimasti impressi. E’ stato bello ed emozionante raccoglierli nel tempo e ora ritrovarsi con delle edizioni che giungono da nazioni che non sono più esistenti.
Venendo al libro in questione lo trovai tanti anni fa, non ricordo nemmeno quanti ma almeno trenta, in una libreria antiquaria prossima al Colosseo, in Via del Cardello. Questo esercizio non esiste più da decenni ed è un peccato che storiche rivendite siano costrette a chiudere. Non conosco nello specifico la storia di questo negozio, ma ricordo perfettamente che si trattava di un luogo particolare, architettonicamente movimentato, con dei gradini da salire per recarsi nei vari ambienti adibiti alla vendita. Lo acquistai nell’unica visita che gli feci e fu un evento del tutto speciale. Lo pagai 12000 lire, questo lo so bene, non perché disponga di buona memoria benché l’abbia, ma mi vien ricordato ogni volta lo prendo fra le mani, essendo il prezzo ancora scritto a matita nel retro di copertina, e non ho mai pensato a cancellarlo. Il prezzo editoriale dell’epoca era invece di 2,50 lire, che non erano neppure poche. Degli istanti in cui in lui incappai, rammento un po’ tutto, sono scolpiti nella mia mente. Mi ripromisi di tornarci ma non lo feci mai, e ora impossibilitato nel proposito, vivo forse maggiormente quel ricordo.
“Mi scusi, avete per caso dei libri di Edgar Allan Poe?” chiesi come al mio solito. “Solo questo”, mi fu risposto poco dopo porgendomi il volumetto. Avevo letto della sua esistenza nelle bibliografie presenti in calce nelle varie edizioni già possedute, ma non l’avevo mai veduto, ignorando completamente come fosse. E ne fui fortemente stupito, giacché oltre non aspettarmi l’incontro, lo immaginavo totalmente diverso.
Edgard Pôe. Il corvo. Traduzione di A. Bruno. Catania 1932. Queste sono le informazioni contenute sul fronte del libro alle quali si aggiunge un disegno stilizzato dell’uccello nominato. Tutto in rigoroso inchiostro nero. L’idea era quella di creare una copertina tipica per l’epoca, attraversata dalla terza fase del futurismo, quello prossimo al successivo surrealismo. Soddisfatto lo portai via con me, ammirandone le fattezze.
Sfogliandolo, troviamo che il minuto volume è stato stampato dalla impresa tipografica di Spampinato & Sgroi nel 1932, come sul davanti è anticipato. Due cifre romane ci ricordano d’essere niente meno che nell’undicesimo anno dell’era fascista, fin troppi e purtroppo si era ancora alla metà, con leggi razziali e guerra ancora a divenire. Una dedica a Bruno Corra, “mio maestro ed amico”, una breve prefazione di Salvo Tomaselli datata ottobre dello stesso anno, e si parte con il poema più famoso di Poe. A questo seguono altre tre brevissime poesie: “A Elena”, “Il verme conquistatore”, e una seconda e differente “A Elena”. In totale 38 pagine appena inclusa la coperta e la retrocopertina.
L’esilità del volumetto rende ancor più il fronte protagonista, e in effetti non sarebbe un granché se non avesse un’eccellente copertina. Questa però è pura delizia, e per poterla apprezzare meglio e con frequenza, in libreria il volume l’ho esposto di faccia, e non di taglio come normalmente avviene. La sua bellezza esteriore è offuscante, al punto tale da far dimenticare la grandezza della versione del poema in italiano contenuta al suo interno. C’è da interrogarsi se non fosse proprio questo l’intento degli editori, noti per essere stati i tipografi di una rivista siciliana chiamata L’intervista, un settimanale autodefinitosi “quasi serio” e “mondano”. Ma in un certo senso è anche un peccato. Possedendo tanti libri di questo autore, è normale avere molte traduzioni de “Il corvo”, saranno almeno una quindicina, e questa è certamente fra le più belle e intense. In seguito pubblicato in una rivista, ho scoperto che questo piccolo volume a me caro, è prezioso anche a un altro bibliofilo ben più autorevole, noto, e importante del sottoscritto, Antonio Mughini, che lo annovera fra i libri più pregiati della sua collezione.
Quella A puntata, sta per Antonio. Antonio Bruno fu un grande poeta siciliano, nato a Biancavilla vicino Catania e morto nella Catania medesima. Abbracciò il movimento futurista e nel marzo del 1915 fondò e diresse la celebre rivista letteraria Pickwick, come il nome del circolo di dickensiana memoria. Studiò e scrisse di Flaubert, Leopardi, D’annunzio, Villaroel. A Milano all’inizio del 1920 incontrò Filippo Tommaso Marinetti. Costui lo incaricò di dirigere il Movimento Futurista meneghino. Nella sua vita ebbe una musa alla quale scrisse 50 lettere d’amore, che poi furono raccolte in un libro. Fu ricercato nel vestire, seducente nei modi, con battute sarcastiche e dall’umorismo nero. Ma anche persona alquanto eccentrica: si divertiva a girare per le strade di Catania con un ramoscello di rose di fresco taglio in mano, con il quale piccava ignavi passanti sconosciuti predicendogli il futuro. La depressione lo portò al suicidio per ingestione di un barbiturico, il Veronal. Scelse di farlo in una misera camera d’albergo proprio il giorno del mio compleanno, il 28 agosto ma del 1932.
Una cosa salta pertanto all’occhio: quando Il Corvo con la sua traduzione uscì, Bruno era già morto, sebbene da poco più di un mese. Fantasticando e volendo esagerare, dopo averlo reso in lingua italica, si uccise. Ma la simbiosi fra i due scrittori non finisce qui. Si è detto che furono entrambi poeti e, mentre l’italiano diresse una rivista, l’altro un quotidiano. Anche la salute di ambedue non è stata splendida in vita. Bruno soffrì di rachitismo per tutta la sua esistenza, Poe non fu di certo da meno con le sue numerose patologie. Per tutti e un due un sovradosaggio fu causa della morte; di medicinali per il siciliano, d’alcol per l’americano, sebbene la fatale non fu per spontanea volontà bensì indotta. Sembra infatti assodato che la morte di Poe sia stata causata dall’esser stato vittima del cooping. Questa pratica infame consisteva nel costringere al voto, anche più di una volta, dei malcapitati, i quali venivano segregati, drogati o costretti a bere in modo tale da piegare la loro volontà.
Ma la coincidenza più incredibile, pari a quelle che possono trovarsi in un racconto del mago del mistero e dell’orrore, l’ho scoperta solamente poche ore fa. La loro vita è durata pressoché lo stesso periodo: appena venti giorni di differenza, a vantaggio del siciliano! Deceduti ambedue qualche mese prima di compiere il 41° anno di età.
Il corvo è l’opera universalmente riconosciuta più importante di Edgar Allan Poe. Forse il “futurista” Antonio Bruno l’aveva intuito, e una volta tradotto il poema avrà pensato d’aver compiuto la sua missione e, assecondando il destino, si è lasciato definitivamente andare.
“E il corvo, non svolazzando mai, ancora si posa, ancora è posato sul pallido busto di Pallade, sovra la porta della mia stanza, e i suoi occhi sembrano quelli d’un demonio che sogna; e la luce della lampada, raggiando su di lui, proietta la sua ombra sul pavimento, e la mia, fuori di quest’ombra, che giace ondeggiando sul pavimento non si solleverà mai più!”
(traduzione Antonio Bruno, nella foto)