E’ in preparazione il numero di marzo di Stilemaschile. Nell’attesa, ripassate gli articoli del numero ora online.
Questo, su Carmelo Bene, o meglio sulla voce di CB, è di Nicola Guarino.
L’autore specifica meglio l’intenzione dell’articolo con questa appendice: “Cioè la résonnance. Appunti per un saggio sulla musicistica nell’opera di Carmelo Bene”. Uno dei geni più grandi del ‘900. Aggiungiamo noi. (Il Direttore)
Vanitas, vanitatum et omnia vanitas. In una follia televisiva, di quelle che ormai la vecchia scatola non ci sa più regalare – se non nella sua evoluzione contemporanea, votata al trash come proto cabina elettorale – vediamo un giovane Carmelo Bene rivelare la sua svolta musicista a teatro, dal bel canto al lied.
“Senti?” dice a Sandro Bolchi facendogli ascoltare un lieder di Schubert “non vibra e non fila”, “il respiro nel respiro”, “il piano è fermo”.
Fine del copione, Carmelo va in (o)scena con una partitura. “Il lied come liquidazione del belcanto”.
“Hanno scritto” dice Bolchi “che c’è più musica nel tuo Otello che nel Manfred di Schubert”. [1]
In quella trasmissione dal titolo “Carmelo in musica” è dichiarato il primo passo dentro quella ricerca musicale che lo porterà a ben altre scoperte. Un passo da artista. Dalì del resto gliel’aveva detto, come C.B. stesso racconta in Sono apparso alla Madonna, c’era troppa sofferenza ancora, non era ancora un genio, all’epoca.
Quel passo concreto, per lui che aveva lasciato ad un’altra delle sue infinite vite la carriera da cantante, deve essere considerato il primo perché l’intuizione mistica che lo precede non può essere catalogata come prima, in quanto premessa irrinunciabile a quel percorso: l’introduzione, dopo millenni di vuoto – dai greci a C.B. – dell’amplificazione, prima fonica poi elettronica, a teatro.
Un’intuizione mistica: Carmelo da sempre, nel ritorno dell’eterno, ha saputo che non c’è conoscenza che non sia mistica, ché sono le cose a farci visita, non viceversa.
Carme e melos, questo il destino in un nome, come aveva ricordato Piergiorgio Giacché. Da qui lo smembramento – timbrico e ritmico – del suono, che è parte della stessa ricerca teatrale e cinematografica, su tutti i fronti: gesto, immagine, parola e suono.
Sul piano timbrico ne sono uno splendido, ma non unico, esempio i “quattro diversi modi di morire in versi” e lo sono in parte anche a livello ritmico.
Sul piano ritmico basti ricordare la frammentazione del gesto in tutto il suo teatro (in particolare nel ‘Pinocchio’) e quel mattatoio dell’immagine nell’esperienza di (s)montaggio in ‘Salomè’ (frame nella foto seguente).
In ‘Lorenzaccio’ poi l’artista lascia definitivamente il posto al genio. Un’altra intuizione mistica fa visita a Camrelo: il suono che anticipa l’azione che l’ha causato. Siamo un passo oltre la frammentazione. Qui C.B., in un sol colpo, ci ricorda che sin dalla nascita il suono precede l’immagine e al tempo stesso dimostra, come si fa per i teoremi, la non pensabilità dell’atto e la sua antistoricità, il tutto a discapito dell’azione (il tempo non esiste, etc.)
Cosa è rimasto ancora da frantumare a questo punto? Per rispondere bisogna tornare all’origine, a quell’intuizione che fa da premessa imprescindibile a tutto il percorso.
Nella ricerca della più piccola particella, dell’immagine come del gesto, nella parola (che in realtà non è che un significante, quindi un pattern ritmico) come del suono, bisogna fare appello alla legge fisica, che vuole il massimo di emissione sonora pari al suo minimo. Torniamo, senza in realtà esserci mai allontanati, all’introduzione dell’amplificazione a teatro.
Come avviene per la lettura (Carmelo lo spiegherà più volte) avvicinando sempre più la pagina all’occhio, la messa a fuoco, oltre un certo limite, fa svanire i contorni delle forme, in un alone incomprensibile (incomprensibile come il grande teatro!). Così per il suono del quale “non resta che l’alone, cioè la résonnance”. [3]
L’alone del suono che è un silenzio più silenzioso degli esperimenti di John Cage nella camera anecoica, e che si avvicina piuttosto ai suoi 4’33”. Paradossalmente più vicino alla ricerca micro polifonica di Ligeti o a certe atmosfere della musica egizia antica.
In questa ricerca dell’alone del suono, come aldilà del silenzio, che è poi la ricerca dell’assoluto che è nel nulla (vedi le pagine bellissime di Meister Eckhart sulla solitudine) troviamo, alla fine, il destino del nome Carmelo, il monte caro a San Juan De La Cruz, tanto amato da C.B. e ai suoi mistici versi dedicati al sacro monte “nada, nada, nada, nada y aun en el monte nada”.
NOTE:
[1] Carmelo in musica. Di Sandro Bolchi. 1980. http://www.youtube.com/watch?v=KhWQOJsSVaw&NR=1 (parte 1)
http://www.youtube.com/watch?v=f2-2ZgVogGc (parte 2)
[2] Carmelo Bene. Antropologia di una macchina attoriale. Bompiani, 2007.
[3] Carmelo contro tutti. Costanzo Show 1995.