Ivano Comi si definisce un “dilettante” della scrittura con la stesso significato che Van Gogh dava al termine quando si riferiva a sé stesso come pittore: v’è implicita una costante ricerca di una perfezione inafferrabile. Colto bibliofilo e gran collezionista di libri antichi, Ivano Comi possiede altresì una vasta e probabilmente unica (a causa dell’argomento che la caratterizza) biblioteca, composta da decine di esemplari originali di rari volumi su Brummell, d’Orsay e il dandismo in generale. Cultore del bello per passione e con competenza, Comi raccoglie con invidiabile gusto oggetti rari, naturalia, artificialia e mirabilia, che vanno ad arricchire la sua Wunderkammer personale – un eremo nel quale si ritira a scrivere.
Dopo aver pubblicato diversi libri sulle armi bianche e l’acciaio damasco, Comi ha abbracciato quel mondo che è suo di diritto: l’abbigliamento maschile. Ha riversato questa sua passione in un vademecum per l’uomo elegante moderno (Conversevole week-end sull’eleganza maschile), poi in diversi saggi su Brummell e il dandismo. La sobria eleganza dei suoi abiti deve molto alla pulizia estetica di natura militare, caratteristica che si riscontra pure nelle profonde ricerche in cui s’addentra – ricerche ch’egli conduce con instancabile zelo e autentica passione per il dettaglio – per poter documentare fino in fondo ciò che metterà nei suoi scritti. Sebbene abbia le carte giuste per poter calcare le scene della mondanità internazionale, egli preferisce ambienti più riservati e discreti, così da poter coltivare indisturbato i suoi raffinati interessi.
Egregio Signor Comi,
Nonostante la Sua particolare erudizione incentrata sul mondo del dandismo, Le porrò domande generali sul mondo dell’eleganza contemporaneo che sta cambiando, che esclude particolari e centenari valori ammettendone altri, certamente diversi per tradizione e profondità. A Lei che ha impiegato buona parte della Sua vita nell’esercizio dell’espressione estetica e della cura per il dettaglio applicato in ogni contesto a Lei caro, domando:
M.M.: Qualcuno disse che l’abbigliamento è il biglietto da visita per la nostra personalità. Appurando il fatto che è nello stile che un individuo distilla per sé stesso che si riconosce attuata tale massima, ci poniamo qualche domanda su quello stile che al contrario ci viene proposto da qualcun’altro: la moda. Seguendo il filo di un intuibile (e forse errato) sillogismo, è lecito pensare che esista una sorta di spersonalizzazione delle masse?
I.C.: L’eleganza maschile mi ha sempre appassionato, fin da ragazzo. Con il tempo, e maggiori possibilità economiche, ho potuto anche concedermi questa passione. Ciò che mi ha sempre spinto ad interessarmene è stata la curiosità: ovviamente di natura intellettuale. In questa Sua prima domanda mi si chiede il rapporto fra il singolo e la massa nei confronti del bel vestire. Ebbene, penso che la massa non abbia, e non provi, questo interesse e questa passione, e la curiosità che nutre è di natura totalmente differente: ad interessarla è la novità. Ad un abito sartoriale si possono dedicare molte ore del proprio tempo, se mossi da sincera passione e gusto del perfezionismo, a partire dalla scelta del tessuto sino alla fine del lavoro sartoriale. Di una parola, blazer, o brogue, mi possono affascinare l’etimologia, lo sviluppo storico del capo nella storia del costume, chi ha avuto una predilezione per indossarlo, l’etichetta galante che ha generato; questo mondo fatto di fantasmi del passato, e di persone reali, genera in me un senso di continuità, meglio, di appartenenza. L’abito ha grandi virtù, persino morali, e non è un caso che la sensazione immediata che suscita una persona elegante è quella di profondo rispetto e proprietà nei confronti di sé stesso e degli altri. Di tutti il libri che ho letto sull’eleganza maschile e il dandismo mi ha particolarmente colpito una storia particolarissima narrata da Jean Ziegler nel suo libro: La felicità di essere svizzeri, libro che con l’eleganza maschile proprio nulla ha a che fare. Però, Ziegler ci parla di un suo amico elegantissimo, di una discrezione rarefatta e potenzialmente fatale. Uso questo termine e poi si capirà perché. L’amico, Roger Bastide, insegnò filosofia e sociologia alla Sorbona di Parigi, poi sostituì Claude Lévi-Strauss all’università statale di San Paolo. Celebre studioso e saggista Bastide aiutò Ziegler, quando in difficoltà, in Sud America. Ma lo straordinario di quest’uomo dotto ed elegantissimo, che mai fu visto slacciarsi giacca, cravatta o polsini, nei posti più remoti, inospitali e torridi della Terra, era che lui, bianco e sconosciuto, attraversava di notte le favelas più pericolose di Rio, o gli alagados più terrifici di Bahia, cenava nelle bettole più sordide delle città più pericolose protetto ‘solo’ dall’impeccabilità di un’eleganza che nessun delinquente avrebbe osato infrangere, attraversava le notti perigliose passeggiando a piedi e avviluppato da un evanescente carapace che, unito ad uno stile impeccabile, lo rendeva invulnerabile. Nessuna metafora, da quelle di Emilien Carassus ai raffinati finali sentimentali di Beerbohm (mi riferisco alla lezione morale alla fine di Dandies e dandies), da quelle di Roger Kempf sul dandismo francese agli psicologismi della Delbourg-Delphis, dai saggi della Natta alle artificiosità della Franci (non a caso il sottotitolo del suo libro è Arte e Artificio nell’Inghilterra fin-de siècle), dalle ricostruzioni d’ambiente di Ellen Moers alla lucidità indagatrice tutta americana di Jessica Feldman, ha mai espresso la realtà tangibile – e in questo caso lo possiamo affermare senza l’aiuto dei simbolismi – del potere apotropaico dell’eleganza maschile in termini così convincenti; poche righe che hanno confermato la convinzione del mio credo. È facile intuire quanta suggestione questa divisa estetica abbia potuto esercitare in un contesto così anomalo per essa, più difficile è immaginarla in azione in una situazione reale e quanto deve essere stato appassionante per Roger Bastide sentirla agire. Il mondo della moda non ha nulla da spartire con quello dell’eleganza maschile su misura, soprattutto se praticata ai vertici della bravura e della dedizione artigianali. Mi disturba poi la mancanza di ogni principio pedagogico – mi si passi la retorica scolastica – che invita a consumare e distruggere, ogni fall-winter, spring-summer collection, i capi acquistati. Potremmo da qui partire e cominciare a riflettere sulla mostruosa manipolazione delle masse da parte delle multinazionali del lusso, ma limitiamoci a questa laconica esposizione.
Brummell fu il primo ad affermare che un uomo autenticamente ben vestito dovrebbe passare inosservato tra la folla. Ma è evidente che in qualche modo, oggi, applicare questo dogma diviene sempre più difficile: la dicotomia che esiste tra il mondo dell’eleganza e quello del casual è forte, e la gente comune non è più abituata ai contatti con “l’altro mondo” senza stupirsi. A parer Suo la silenziosa battaglia del gentleman contemporaneo è davvero poi così silenziosa?
In Vicenza, nell’anno 1616, apparve un libretto, scritto da Giovanni Bonifacio, il cui titolo era: L’arte de’ cenni con la quale formandosi favella visibile, si tratta della muta eloquenza, che non è altro che un facondo silenzio. Probabilmente l’espressione – muta eloquenza – fu ispirata da un verso della “Gerusalemme liberata” (canto IV,ott.85) che recita: “E ciò che lingua esprimer ben non puote, Muta eloquenza ne’ suoi gesti espresse.” Si era già capito che il silenzio è un linguaggio, tanto più eloquente quanto più silenzioso. L’uomo elegante non ha oggi altra alternativa se non quella di tacere e agire attraverso il silenzio che nel caso dell’abito può diventare, secondo i casi, condivisione o protesta. È chiaramente un linguaggio che la maggior parte delle volte è riservato a degli iniziati. Cogliere le sfumature di un dettaglio, l’esatto accostamento di un colore, il perfetto abbinamento di un accessorio, la qualità degli oggetti indossati, la pertinenza con l’occasione e la situazione, non è cosa facile; presuppone che si sia frequentata la stessa scuola con passione e costanza, e che gli allievi abbiano studiato sugli stessi testi. È un mondo ristretto ed elitario, inutile nasconderlo, non tanto per le possibilità economiche che presuppone quanto per la visione immaginifica ed educata che dagli allievi e maestri esige. Di qui il passo allo stoicismo, parola magica e argomento tanto presente e diffuso in tutti saggi sul dandismo, è breve e anche facile da farsi, ma meglio non tirare in ballo la figura del dandy in questo caso, meglio stare sulle generali e scivolare silenziosi nel rarefatto mondo dell’eleganza su misura. L’eleganza è come un’attrice di teatro: più la parte da recitare è complessa più ha bisogno di un pubblico preparato che la comprenda.
L’evoluzione della moda maschile si è costruita con continue citazioni tratte dall’ambiente sportivo-popolare: un capo di abbigliamento e un accessorio varia nel tempo e di fatto diviene sempre più pratico adattandosi alle esigenze del momento. Al frac abbiamo tagliato le code, alla camicia abbiamo levato i pizzi, e ne abbiamo infine rovesciato il colletto. Un processo darwiniano che oggi si è rivelato deleterio, giacché con certi fronzoli sono scomparse anche molte regole comportamentali; abbiamo uomini politici in bandana, e capitani d’industria in scarpe da ginnastica pure in ufficio…
Distruggere certi canoni stilistici fa ormai parte di un sistema di imposizione dell’immagine che certi dirigenti (abbiamo l’esempio di un noto rappresentante di una famosa Casa automobilistica nostrana) adottano per condizionare le masse. Calzare scarpe da ginnastica su un doppio petto blu formale, sostenuto da bretelle con mollette, è un espediente assai valido ma di estremo cattivo gusto. È chiaro che l’uomo elegante sa interpretare saggiamente questa malafede della semantica di comunicazione di massa e l’occhio critico è un suo fedele alleato. Ci sono equilibri che in abbigliamento è bene non far vacillare. La semplicità è un’arte difficile perché tende a mettere da parte il soggetto che la coltiva ma, nello stesso tempo è un’ombra che si muove nella verità. Il buon gusto la segue molto da vicino. Coprirsi il capo con una bandana (soprattutto se ad indossarla è un uomo politico e non un cantante rock) è un atto di disponibilità alla popolarità, non all’eleganza. In quell’esemplare lezione di stile dello scrivere che Cocteau ci dà nel breve saggio: “Delle parole”, contenuto nel testo: La difficoltà di essere, dice: “Le parole ricche di colore e di sonorità sono difficili da usare tanto quanto i gioielli vistosi e le tinte squillanti nel vestire. Mai una persona elegante se ne addobba”. Le faccio notare poi, che, a parte la scena sociale, l’area geografica entro cui un tempo si esercitava un certo tipo di eleganza era assai ristretta. Baudelaire non si allontanò mai da Parigi, Brummell, addirittura, si mosse solo fra la residenza reale, i circoli esclusivi della Reggenza e, al massimo, durante le “migrazioni” estive, nelle residenza nobiliari di campagna. Riferimenti bibliografici al riguardo abbondano.
Il denaro è la base fondamentale per costruirsi senza impedimenti una propria personalità estetica. Tuttavia nei Suoi libri Lei afferma sovente che conta molto la propria cultura. Dacché so di rivolgermi ad un gran divoratore di libri, domando: come vede il contributo che i manuali sull’eleganza danno ad un aspirante uomo di gusto? Essi possono servire da soli a formare le necessarie basi?
Mi scusi se Le cito ancora Cocteau (so che a Lei è caro) che dice: “Ciò che vuole il lettore è leggersi.” Dioguardi – in Del furore di essere libro – e Manguel – in Per una storia della lettura – ameranno sicuramente questa frase. Da ogni testo ci aspettiamo certi contenuti che quasi sempre troviamo in esso. Alcune volte il libro è una rivelazione: ci mostra quello che non ci aspettavamo, in positivo, di trovare. È quello che è successo a me leggendo, parecchi anni or sono, il Manuale di eleganza maschile di Tatiana Tolstoi. La lettura di questo Manuale mi svelò un mondo che non sospettavo esistere: la mistica del vestirsi. Scoprii che vestire poteva significare andare oltre il gesto. Il consiglio che posso dare è di leggere, come faceva Radiguet, anche le opere minori perché in esse cercava le tracce invisibili e mancanti che trovava invece nei capolavori. Certo, a distanza di anni il lavoro della Tolstoi mostra un po’ la corda e anche la scrittrice si avvicinò a quel mondo particolare completamente digiuna di informazioni circostanziate, ma consiglio comunque la lettura di questo libro unitamente ad altri: il libro di Mendicini, L’eleganza maschile. Guida pratica al guardaroba perfetto può essere una buona guida, un ABC che con la sua algebra noiosa almeno insegna a non indossare calze bianche con lo smoking. Alcuni testi, ormai perduti, come, ad esempio, Il Petronio di Lucio Ridenti, ci raccontano di un mondo scomparso ma le regole in essi contenute, rilette in una dinamica contemporanea, sono valide ancora oggi. Rispondendo alla Sua ulteriore domanda, le possibilità economiche sono la chiave che ci introduce in questa stanza rara che è il mondo dell’eleganza maschile ‘su misura’. Guadagnarne l’uscita è tutta un’altra storia.
Veniamo ora ad un personaggio che ci è caro, e parliamo del Dandy. Lei è certo uno dei più attenti studiosi, collezionista appassionato di manoscritti brummelliani e di opere rarissime sui dandies e l’eleganza maschile. I Suoi scritti sono le prove di tale cultura e testimoniano una passione che, nonostante gli ostacoli della vita, non accenna a spegnersi. Recentemente ha dato alle stampe un saggio che traccia un parallelo tra il Dandy e il Samurai. Ce lo racconti brevemente.
I.C.: Il mio interesse per i samurai nasce molti anni fa, circa 25, ma l’idea di tracciare un parallelo fra la figura del dandy e quella del samurai mi nacque 12 anni fa, quando acquistai una fotografia, che il Corriere della Sera mi chiese di pubblicare, l’8 gennaio del 2012, intitolando l’articolo come “Le prime fotografie dell’Oriente”. Unitamente a questa mail le trasmetterò l’immagine della fotografia. Ritrae tre gentiluomini giapponesi, all’inizio del 1900, in tenuta da samurai. Questa fotografia esprime tutto l’attaccamento al passato, e la volontà di non essere cancellati dal Destino, che coinvolge questi tre soggetti. La loro è una sfida aperta alla Modernità; nella perfezione formale della loro posa si cela la malinconia del tramonto di un’epoca. E’ la stessa malinconia, La malinconia allo specchio, diremmo, alla maniera dello Starobinski, che appartiene anche al dandy.
Bibliografia scelta di opere di Ivano Comi: